Chiesa San Nicola
di Patrizia Penazzi


Monsignor Fontana benedice il bassorilievo in bronzo dell'artista
Cristiano Palliotto, raffigurante S. Nicola.

E' la chiesa parrocchiale situata in cima al colle. Intorno ad essa si costruì il primo castello di Brufa.
Dipendeva dalla Collegiata di S. Gregorio Maggiore di Spoleto, il cui Capitolo aveva il diritto di nominare il Prevosto – Parroco. Nel 1310 (questa è la prima notizia su S. Nicola), vi era un Prevosto ed otto Canonici.
Il card. Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII, spirito sagace e prudente negli anni 1610 – 1611, come vescovo di Spoleto, eseguì la visita pastorale nella vasta ed importante diocesi spoletina comprendente la montagna di Norcia e quindi di Monteleone.
La descrizione delle chiese e delle accoglienze affettuose della nostra gente, occupa due tomi redatti dai segretari (Arch. Arciv. di Spoleto).

24 Agosto 1610 visita a S. Nicola. Descrizione (Arch. Arciv. di Spoleto)
“Il cardinale dopo aver trascorsa tutta l'estate del 1610 nelle parrocchie della pianura, il 24 Agosto, sotto il baldacchino portato dai magistrati ed accompagnato dal Vescovo tit. di Zante e Cefalonia e dal podestà di detta Terra e da tutto il popolo giunse nella chiesa parrocchiale dal titolo di S. Nicola in Monteleone.
Fu ricevuto alla porta del tempio, da don Francesco Maria Cavilli vicario perpetuo di detta chiesa per conto del Capitolo di S. Gregorio.

Vi celebrò Messa solenne e distribuì la Comunione generale.
La chiesa ha forma rettangolare, in fondo è l'altare maggiore (all'opposto della porta che doveva essere ancora sulla facciata occidentale).
E' di pietra rivestito da un paliotto di damasco. Ha quattro candelieri d'ottone. Dietro l'altare v'è il coro e davanti la balaustra di legno.
A latere Evangelii è l'altare o cappella di S. Nicola. Si dice appartenga alla famiglia Paolini. Sulla parete è dipinta l'immagine della Vergine tra S. Rocco e S. Antonio e più in alto l'immagine della Trinità.
Attigua ad essa è la cappella della S. Annunziata con altare in pietra: si afferma appartenga a Giovanni di Francesco Tagliaferri.
Segue l'altare del Sacramento appartenente a Bartolomeo Cesi.
In fondo alla chiesa è un altare sotto un arco sorretto da colonne (forse un baldacchino in pietra) dal titolo S. Maria Maddalena.
Sulle volticene sono dipinti i quattro Evangelisti.
Al lato sinistro dell'ingresso v'è altra cappella della stessa forma della precedente ma senza altare.
Presso la cappella è un altro altare detto del Rosario in cui è costituita la Confraternita del Rosario. Vi sono due candelabri in ferro e nella tela sono dipinti i misteri del Rosario”.

Dalle risposte al questionario del Camelli sappiamo che Monteleone aveva 1000 abitanti, e nel ministero era coadiuvato da altri due sacerdoti.
Le sue entrate erano 38 rubbi di grano e 100 libre di formaggio riscossi dai canonici di S. Gregorio.
“Molte cose sariano da scrivere sopra la chiesa che minaccia ruina da ogni banda” dice con tristezza il prevosto.
Tra i libri che il pio Camelli studiava era il Navarra, cioè il Dr. Martino de Azpilcueta di Navarra grande canonista e moralista (1492 – 1586) caro ai pontefici, autore dell'Enchiridion confessariorum (ed. Aversa 1573). E si vede da queste descrizioni accurate, che il Barberini visitava anche la biblioteca dei parroci per misurarne l'elevatezza intellettuale.

La primitiva chiesa fu distrutta dal terremoto del 14 Gennaio 1703.
La rovina deve essere stata grande; in un registro dell'archivio parrocchiale si legge che “dopo alcuni giorni la Pisside col Santissimo Sacramento fu ritrovata, da Simone Magnavacca, vari passi lontano dall'altare”.
Si trovano qua e là alcuni reperti della vecchia chiesa che rivelano una classica struttura romanica.
La ricostruzione, iniziata nel 1707 (la parrocchialità fu temporaneamente trasferita alla chiesa della
B. Maria Vergine del Carmine e ciò per 10 anni) e l'ingrandimento del complesso, furono realizzati con i contributi della comunità di Monteleone, dei parrocchiani e dei monteleonesi residenti a Roma; il Governatore della Camera apostolica donò 1463 scudi.
Il Capitolo di S. Gregorio non potendo sostenere le spese per la ricostruzione vendette i beni che la chiesa aveva presso Eggi di Spoleto. E cedette ogni diritto.
Da quella data la nomina del parroco passò direttamente al Vescovo.
Sull'architrave della porta principale c'è scritto: “Divo Nicolao patriae et pauperum patrono – 1761” (A S. Nicola Patrono della Patria e dei poveri) vi è inciso lo stemma della famiglia De Rubeis, forse perché essa pagò in tutto o in parte la spesa sostenuta per il portale.
Dopo il terremoto la parrocchia andò a concorso e nel 1717 fu nominato prevosto don Filippo Peroni.
Il Papa attribuì alla chiesa anche le decime che godeva il Card. Altieri, con l'obbligo del priore di provvedere al servizio di S. Maria del Piano de Equo e del Trivio a mezzo di coadiutori.
Sulla porta occidentale della chiesa è uno stemma bipartito con al capo un lupo e al piede una guardina (celata).
Anche il campanile fu restaurato nel sec. XVIII. Vi sono tre campane.
Nella prima si legge: “ Laudo Deum verum, voco populum, convoco clerum, defunctos ploro, festa decoro, 1835”.
Nella seconda . “D. O. M. Deiparae aliis patris protectoribus dicata fargor tuut sub tot tantorumque patronorum auspiciis sit tempestatibus, fugat peccatoribus, solstium poenitentibus. Iannes Baptista Donati de Aquila fundebat 12771”.
La terza : “Giuseppe Fiorelli fundit a. D. 1801 Laudo Deum, plebem voco, defunctos ploro, cleros voco, nimbum fugo”.

L'interno della chiesa è ad una sola navata, dal pavimento in cotto, con soffitto in legno e con un grazioso gioco di cappelle laterali di sapore palladiano.
A sinistra vi è l'altare “Agricolarum”, della corporazione dei contadini (l'altare è infatti dedicato a S. Isidoro).
Fra le tele degli altari, due erano le segnalate della pregevole scuola romana (Cfr. B. Toscano, in Ricerche in Umbria, 1976):
- Tela della decollazione di Giovanni Battista con S. Antonio di Padova, S. Isidoro e la Maddalena attribuita al pittore romano Giuseppe Ghezzi (morto a Roma nel 1721).
- Annunciazione attribuita ad Agostino Masucci del 1723 (morto a Roma nel 1758).

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