12 marzo 2010 - Criticare le donne in quanto tali è diffamazione, lesivo della dignità della persona e si paga con la condanna penale ed il risarcimento dei danni (sentenza della Cassazione)……..



Le donne non possono esser criticate solo per la loro appartenenza al genere femminile e non si può dire che, ad esempio, in un determinato posto di lavoro, sarebbe meglio sostituirle ''comunque, con un uomo''.
Lo stop alle critiche nei confronti delle donne, sganciate da qualunque riferimento a fatti specifici e riferite solo al ''dato biologico'', sono lesive della dignità della persona e si pagano con la condanna penale ed il risarcimento dei danni.Lo sottolinea la Cassazione confermando la condanna per diffamazione nei confronti di un giornalista e di un sindacalista per le critiche di genere che avevano rivolto alla direttrice del carcere di Arienzo (Caserta).
La Suprema Corte ha ritenuto diffamatorio un'intervista pubblicata su un quotidiano locale di Caserta nel giugno 2002, intitolata ''Carcere: per dirigerlo serve un uomo''.
Già di per sè il titolo è stato ritenuto, sicuramente, offensivo e offensivo è stato ritenuto un passaggio dell'intervista fatta dal giornalista Antonio C. ad un sindacalista della Cisl, Luciano D.M. che, parlando della situazione del Carcere di Arienzo diceva che per la struttura, diretta da Carmela C., ''sarebbe meglio una gestione al maschile'', senza ancorare questa affermazione a nessun elemento oggettivo.
Senza successo il giornalista ed il sindacalista hanno invocato il diritto di cronaca e quello di critica sindacale. Chiedendo di essere assolti e di annullare il verdetto emesso dalla Corte d'Appello di Salerno nel febbraio 2009. 
''Correttamente - scrive la Cassazione nella sentenza 10164 - i giudici di merito hanno ritenuto che la frase “sarebbe meglio una gestione al maschile”, attribuita al sindacalista, è oggettivamente diffamatoria ed è, da sola, idonea ad affermare la responsabilità sia dell'intervistato che dell'intervistatore''.
La Cassazione aggiunge che ''si tratta di una dichiarazione certamente lesiva della reputazione della direttrice del carcere trattandosi di un riferimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti, e che costituisce una mera valutazione, ripresa a caratteri cubitali nel titolo, nel quale si puntualizza proprio la  necessità (sottolineata dal verbo servire) di affidare la direzione del carcere, comunque, ad un uomo''.
''In sostanza, la critica che viene mossa alla direttrice - continua la Cassazione - è sganciata da ogni dato gestionale ed è riferita al solo fatto di essere una donna, gratuito apprezzamento contrario alla dignità della persona perchè ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell'appartenenza all'uno o all'altro sesso''. 
Giornalista e sindacalista sono stati, dunque, condannati per diffamazione e a risarcire alla direttrice 3500 euro come riparazione pecuniaria oltre ad un risarcimento danni di 7000 euro.