22 marzo 2011 - La lapide commemorativa di Monteleone di Spoleto ed il suo "dimenticato" autore, il prof. Angelo Tortoreto.......



Monteleone di Spoleto è soprattutto noto oggi al mondo intero per le vicende legate alla vendita e trafugamento dell’ormai famoso carro o (dell’impropriamente detta) “biga etrusca” conservata presso il Metropolitan Museum di New York dimenticando talvolta le sue vicende storiche ed umane più vicine a noi e per questo non meno importanti.
Molto invece è ancora da ricercare, studiare ed infine pubblicare sulle altre epoche storiche ed in particolare sulla microstoria locale, quella a cui una volta era data forse maggiore rilevanza da essere nomata appunto come “Storia Patria” all’infuori che si parlasse di un grosso centro o di un borghetto sperduto fra i monti.
Su questo campo infatti molto ancora è da fare e altrettanto c’è da scoprire.
Si prenda ora il caso singolare della Lapide che da quasi 101 anni svetta in bella vista sulla facciata della Torre dell’Orologio e da tutti osservabile e conosciuta. Orbene, pur trattandosi di una grossa lapide provvista di un testo addirittura firmato per esteso dall’autore, nessuno fin’oggi si era mai domandato di sapere di più sul motivo della sua erezione e sull’ideatore del testo.
Debbo ringraziare il Prof. Massimo Iachetti (Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali per il territorio di Monteleone di Spoleto) acuto osservatore ed amante di questa Terra che in primis, inconsapevolmente, mi ha fatto germogliare l’interesse e la ricerca per questo singolare monumento epigrafico e quindi la seguente esposizione.
Al medesimo và anche il merito indiscusso di aver scoperto e fatto conoscere a molte istituzioni pubbliche fra cui il Museo Storico del Risorgimento, l’importanza storica di detta epigrafe, anticipatrice per data di ricorrenza a quelle di molti altri paesi e città italiane poiché qui vi si ricorda la data dell’ingresso e la “liberazione” a Monteleone di Spoleto avvenuta al seguito delle prime truppe Piemontesi nell’ottobre del 1860 ben cinque mesi prima della data ufficiale concordemente riconosciuta come giorno e Festa dell’Unità Nazionale Italiana.
Come dicevo, la lapide è posta sulla torre civica, simbolo storico e turistico di Monteleone,immortalata in quasi tutte le pubblicazioni, depliant e cartoline dell’ultimo secolo.
Purtroppo per il poco tempo esiguo e la mancanza di referenti e ricercatori locali che avrebbero potuto fornirci maggiori documenti e rintracciare ad esempio le Delibere del Consiglio o della Giunta Municipale dell’epoca, conservate presso l’Archivio Storico Comunale, non possiamo ricavare maggiori dati da già quanto descritto nel testo, né il motivo della presenza dell’illustre Prof. Tortoreto in questo piccolo centro dell’appennino.
Per ora infatti non è ancora possibile appurare se l’autore della composizione letteraria si trovasse in loco per motivi di lavoro o personali o se, come probabilmente accadde, fù incaricato appositamente per l’occasione, ma ci è purtroppo ignota anche la committenza che insieme alla municipalità s’interessò della fattività del progetto e dei rapporti con il noto letterato.
Il carme monteleonese è il seguente:

VIGILE SCOLTA DELL’ APPENNINO
NELLE LOTTE DEL PATRIO RISCATTO
MONTELEONE TENNE POSTO D’ AVANGUARDIA
CITTA’ SORELLE COMPAGNE DI SCHIAVITU’
VIDERO ACCORRERE ANIMOSI I SUOI FIGLI
GLORIFICATORI DELLE VITTORIE GARIBALDINE
INCITATORI ALLA RIVOLTA
QUANDO DA TERRA UMBRA
I COLORI D’ITALIA ERAN BANDITI
SU QUESTA TORRE IL VESSILLO REDENTORE
SFIDO’ IL TIRANNO MINACCIANTE
CARCERI ESILI SACCHEGGI INCENDI
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NEL CINQUANTENARIO DELLA LIBERAZIONE
MUNICIPIO E POPOLO

PROF. TORTORETO ANGELO II OTTOBRE MCMX


Il testo fa quindi implicito riferimento a Pio IX (definito “Tiranno”) ed all’incedere delle truppe Sardo-Piemontesi in terra Umbra. Infatti Vittorio Emanuele II impaurito dall’avanzare vittorioso nel Regno di Napoli del Pro Dittatore Garibaldi e con il rischio paventato da molti che questi dichiarasse autonomamente la Repubblica, ordinò nel settembre del 1860 l’invasione dello Stato Pontificio.

L’11 settembre dello stesso anno, le prime truppe Piemontesi già ammassate da tempo sulla frontiera varcano i confini fra le Marche e L’Umbria. Quattro giorni dopo viene istituito un Commissario Generale Straordinario per la già Provincia Pontificia dell’Umbria. Il 17 dello stesso mese viene presa ed occupata Spoleto, mentre dal giorno prima in tutte le terre già occupate (ma non ancora ufficialmente unificate) vengono introdotti i nuovi francobolli legali dello Stato Sardo.

Il 2 ottobre anche Monteleone cade (o viene “liberata”) e il 5 ottobre vengono estese le nuove tariffe dello stato Savoiardo in tutta la Provincia.

L’Umbria ed i suoi centri diventarono ufficialmente parte integrante del nuovo Regno d’Italia a seguito di un Plebiscito indetto fra il 5 ed il 6 novembre del 1860.

Ricordiamo per verità storica e di cronaca che, per quanto successivamente decantato dalla storiografia risorgimentale, questo ed altri plebisciti indetti in più tempi nel corso dell’unificazione, non furono così “democratici” nel senso appieno dell’accezione contemporanea, né a suffragio universale ovvero non vi poterono concorrere le donne, i poveri, gli analfabeti e tutti quegli italiani imprigionati che combatterono sull’altro fronte per difendere i legittimi stati nazionali.

Praticamente votarono si e no fra il 2-7 % della popolazione Italiana!

Il lettore tenga quindi comunque e sempre presente che ogni documento storico è pur sempre prodotto e figlio di un epoca, delle politica o del regime vigente ed anche questo testo rispecchia appieno il nuovo clima politico liberale e “Patriottico” (e quindi al contempo anticlericale) della giovane nazione. Possiamo qui fare alcuni esempi sulla valutazione acritica che si dovrebbe tenere sui fatti e contesti storici ; solo 53 anni prima un altro documento, di parte Pontificia (che spero a breve di far conoscere al pubblico) ci attestava esattamente l’opposto con la piena legittimizzazione ed il devoto riconoscimento da parte delle autorità e della stessa comunità Monteleonese del potere spirituale e temporale di Pio IX.

Ancora prima nel 1799 ricordiamo i giovani “Patrioti” che sacrificarono la loro vita per difendere il loro paese contro quelli che per loro erano invasori, in questo caso le truppe Francesi.

Allo stesso tempo un testo del genere sarebbe oggi difficile da proporre o da vedere perché purtroppo lo stesso concetto di Patria fatto poi proprio dal Ventennio fascista risente ancora di questo ultima etichetta, così come il concetto di Amor Patrio e l’uso della bandiera nazionale, la cui esposizione pubblica è stata pur recentemente auspicata da diversi presidenti della Repubblica.

Forse la risposta di certi vuoti di memoria nella storia sono legati proprio all’etichettatura di parte (Rossa, Bianca, Nera,Arcobaleno…) che tutti, anche involontariamente, diamo ad ogni cosa che avviene, fatto o persona.

Ogni evento umano,politico, sociale che mettiamo sotto il cappello della “Storia” è sicuramente un dato di fatto incontrovertibile, ma spetta alla serietà della ricerca ed in nome di una verità al di sopra di parte e preconcetti, di apportare sempre nuovi contributi e punti di vista.

Scriveva Lucrezio che “molte sono le facce della verità” non significando per questo che siano tutte false o l’inverso. Fondamentali sono i punti di vista vissuti in modo diverso fra le parti….Sapere meglio come è stata fatta l’Italia, anche negli aspetti “meno belli” è un bene e non certo una divisione.

Personalmente mi rende più Italiano, più attaccato alle radici meno conosciute di queste terre e non certo fazioso ad oltranza con una demagogia unitaria che tutto pervade, nè tantomeno neoborbonico o Pontificio!
Lo stesso Tortoreto fece la sua scelta e dal suo punto di vista trovò semplice aderire poi al nascente movimento fascista dove sovente si faceva ricorso al nazionalismo, allo Stato, alla Patria.

Questo gli comportò probabilmente una “Damnatio Memoriae” che ancora continuava fino alla riscoperta avvenuta in seguito alla presente ricerca, ma su cui non serve chiudere gli occhi perché nel bene o nel male siamo tutti frutto di questi eventi e della nostra Storia.
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di Stefano Vannozzi

Fonte: http://stefanovannozzi.wordpress.com/2011/03/13/monteleone-di-spoleto-2-ottobre-1860-2/

Angelo Tortoreto nasce a Catignano (PE) nel 1875.
Nulla sappiamo intorno alla prima età giovanile ed all’anno della morte che avvenne comunque in tarda età poiché la sua ultima pubblicazione si data al 1963.
Fu Maestro elementare e poi scrittore, narratore, commediografo e studioso commentatore di autori classici e moderni. Della sua giovanile esperienza didattica rimane traccia come maestro nel 1901 a Fiano Romano.
Nel 1908 l’editore siciliano Biondo lo chiama insieme ad altri famosi autori come Edmondo De Amicis e Luigi Capuana per scrivere novelle e romanzi per la sua “Biblioteca Aurea Illustrata”.
Successivamente è impegnato in opere pubblicistiche ed a Roma dal 1907 al 1908 quale direttore della rivista “La Riscossa Scolastica” che tratta di Pedagogia, Morale, Storia , Letteratura, Cronache Scolastiche.
Dopo questa breve parentesi editoriale lo troviamo nel 1910 come pubblicista per il quotidiano il Messaggero mentre nel contempo continua a pubblicare testi e programmi per la scuola, novelle e racconti storici di sapore nazionale.
Nel 1924 pubblica “Il Volontario di Gorizia” Toccante racconto su un soldato che diede la sua vita per la Patria, dopo aver combattuto con tutto l’amore e l’orgoglio di italiano nelle terre irredente.
Ma la sua opera più nota e che lo lega indissolubilmente al Regime è la nota rivista da lui fondata “La Piccola Italiana” che fonda a Milano nel 1927. Le sue ultime opere riguardano il Tasso e gli studi Tassiani. L’ultimo lavoro sembra essere i “Versi Prose ispirati al Tasso”, edito a Bergamo nel 1966.
“Nel 1927 Angelo Tortoreto, un insegnante di mezz’età che è al tempo stesso pubblicista e autore di libri per ragazzi, fonda a Milano “La piccola italiana”, un settimanale di «guida e di coltura» per fanciulle che si propone di formare ed educare le ragazzine ai valori di «Dio, Patria, Famiglia e Lavoro» attraverso la pubblicazione di articoli di contenuto storico-politico, racconti di fantasia dai toni edificanti, rubriche di cucito o di cucina. Il giornale esce regolarmente per molti anni, fino alla caduta del fascismo nel luglio 1943, e nel corso della sua vita subisce almeno un mutamento importante: nel marzo 1941 diventa settimanale ufficiale della Gioventù Italiana del Littorio, cambia direzione – i nuovi direttori sono Eros Belloni e Orfeo Sellani – e trasferisce i suoi uffici da Milano a Roma. Ma i contenuti e i caratteri della pubblicazione, in realtà, non sono particolarmente influenzati da tali novità: fin dall’inizio il settimanale, nato col plauso delle più alte sfere del Partito nazionale fascista, persegue a pieno ritmo il suo obiettivo di formazione politico-patriottica delle bambine, di educazione religiosa e morale, oltre che di preparazione scolastica e prima linea in tutti i passaggi più rilevanti della vita del regime, in particolare nella campagna di Etiopia e nell’entrata in guerra nel giugno 1940. La continuità è confermata anche dal fatto che con il passaggio di consegne alla GIL la numerazione della rivista continua in progressione. (…)due anni. Ha al suo attivo numerosi libri patriottici, soprattutto negli anni a cavallo della Prima guerra mondiale, e alcuni libri per ragazzi, sia letture di svago che testi scolastici. La dimensione didattico-educativa e quella patriottica, d’altra parte, sembrano due costanti che accompagnano per anni la sua produzione e si riflettono ampiamente sulle pagine del settimanale e sui libri che è possibile acquistare insieme all’abbonamento. Tortoreto è autore di numerose opere teatrali, ma sulle pagine de “La piccola italiana” lavora soprattutto per la formazione scolastica e per quella politico-patriottica delle sue lettrici. Ogni anno l’uscita de “La piccola italiana” è accompagnata da un’antologia tematica: nel 1937, come supplemento al primo numero, appare La marcia di un popolo eroico. L’epopea italiana dagli albori del Risorgimento alla conquista dell’Impero, un lavoro di una sessantina di pagine, scritto dallo stesso Tortoreto e pubblicato dalla sua casa editrice. Lo scritto ripercorre la storia d’Italia dalla fine del Settecento (il primo capitolo è dedicato a Gli anni della dura vigilia 1794-1847) fino alla conquista dell’Impero del 1936. Le vicende risorgimentali, che occupano una buona metà del lavoro, sono presentate come preludio alla gloriosa ascesa del fascismo e alle sue conquiste d’oltremare: queste tuttavia occupano nel testo uno spazio limitato, perché la pubblicazione rimanda a una successiva antologia dell’Impero, presumibilmente dello stesso Tortoreto e stampata sempre dalla sua casa editrice, in una politica di annunci e anteprime che evidenzia gli stretti legami tra il giornale e l’azienda del suo direttore. Con il passaggio del settimanale alla GIL, Tortoreto lascia la direzione; tuttavia, sia pure con un ruolo molto ridimensionato, l’ex direttore ormai quasi settantenne scrive ancora per il giornale, in genere brani di accompagnamento alla pubblicità della Cassa di risparmio delle Province Lombarde, spesso firmati semplicemente A.T. I nuovi direttori, Orfeo Sellani ed Eros Belloni (direttore responsabile) non firmano invece nessun pezzo del settimanale e sembrano avere una funzione puramente istituzionale. Sellani, d’altra parte, ha un ruolo politico ben definito: è «segretario federale, consigliere nazionale alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni», e non sembra affatto impegnato nella scrittura per ragazzi. Eros Belloni, al contrario, coniuga impegno politico e attività letteraria: è giornalista addetto all’ufficio stampa della GIL (oltre che già direttore de “Il Balilla”) e scrive romanzi per l’infanzia a sfondo politico.
(…)
Al momento del cambio della guardia alla direzione del giornalino Angelo Tortoreto – che ne è stato il direttore per quattordici anni – saluta le lettrici illustrando le tappe principali che hanno segnato la vita del settimanale e le modalità con cui è nato. Tortoreto spiega come il primo lungo periodo di vita de “La piccola italiana” sia caratterizzato dall’incontro tra «l’opera di un privato cittadino» e le esigenze del regime. Il giornalino, infatti «nacque nell’ottobre 1927-V, presi gli ordini dal Segretario del Partito, con il consenso delle più alte Gerarchie del Regime», e tra gli apprezzamenti ricevuti Tortoreto ricorda con particolare orgoglio quello del quadrumviro Michele Bianchi . Il direttore uscente trova anche modo di far sapere a lettrici e collaboratori che all’inizio del 1941 il Partito gli ha offerto di trasferirsi a Roma e di mantenere la direzione del giornale, ma che non gli è stato possibile «accettare il lusinghiero invito»
(…)
le urgenze propagandistiche del momento fanno sì che sia dato maggiore spazio ai personaggi e alle vicende che forniscono i tratti più efficaci all’auto rappresentazione del fascismo. Nel ritratto che si intende offrire dell’Italia di Mussolini è tratteggiato un volto nuovo e rivoluzionario e tuttavia profondamente radicato nella storia italiana, ‘anticipato’ per così dire da alcuni uomini illustri del passato presentati come precursori del fascismo e di Mussolini secondo «una linea retta, che parte dai primi martiri del Risorgimento» e arriva alla nascita del fascismo.
All’interno di questo ‘uso pubblico’ o ‘uso politico’ della memoria collettiva e della storia spiccano due momenti forti, che occupano uno spazio significativo sulle pagine de “La piccola italiana” e che sono enfatizzati soprattutto in occasione di ricorrenze e anniversari: il Risorgimento e la Prima guerra mondiale. Tra i personaggi chiave collegati a questi eventi spiccano la figura di Giuseppe Garibaldi e la famiglia Savoia. Il Risorgimento e Garibaldi Il presunto legame genetico tra Risorgimento e fascismo è costantemente ribadito: solo per fare un esempio significativo, nella primavera del 1938 le rievocazioni del 1848 occupano per un paio di mesi le pagine del settimanale e sono occasione per sottolineare la continuità tra il tricolore di allora e la bandiera fascista, che è sempre quella della «Reale Imperial Casa Savoia». La celebrazione del momento presente, tuttavia, è visibile soprattutto nella costruzione di un legame di continuità tra movimento garibaldino e fascismo: se le Camicie rosse sono dipinte come le anticipatrici delle Camicie nere, è soprattutto nei ritratti dei due capi carismatici che si intende sottolineare con più forza i punti di contatto tra i due momenti storici. Garibaldi è chiamato il «Duce delle Camicie Rosse», utilizzando in chiave politica un’espressione già in uso nel linguaggio poetico ottocentesco; si immagina così di veder vagare il suo fantasma per la Roma del 1928 fino alla finestra dietro la quale Mussolini lavora: «Guarda. È silenzio nella Città Eterna. Ma dalle finestre di un grande palagio si sprigiona un fascio di luce attraverso la quale l’Eroe scorge un Uomo insonne che guida con ferrea mano la nave delle fortune della Patria». La visita immaginaria del fantasma di Garibaldi a Mussolini rappresenta una sorta di investitura del secondo da parte del primo, e la pretesa continuità tra l’una e l’altra figura ha lo scopo di esaltare attraverso Garibaldi «un altro Duce che con le falangi delle Camicie Nere rinnova e ingigantisce le ardenti audacie delle Camicie Rosse». L’uso politico della figura di Garibaldi, completamente deprivata dell’ideale democratico del personaggio reale e presentata come precorritrice di Mussolini, ricorre in momenti diversi della storia del regime. Per limitarci alle ‘visite’ del fantasma di Garibaldi basti dire che racconti costruiti attorno a questa favola sono pubblicati sia nel 1928 che nel 1941. Al tempo stesso, però, si sottolinea la gratitudine di Mussolini e dei fascisti verso Garibaldi e i garibaldini: una gratitudine che si risolverebbe, secondo il messaggio propagandistico che si intende trasmettere, nel condurre «la Nazione italiana sulla via del dovere e della gloria, come già fece il Duce delle Camicie Rosse». Indottrinamento politico e uso pubblico della storia sono dunque strumenti importanti, ma vanno filtrati e ‘tradotti’ secondo temi e linguaggi pensati in primo luogo per le bambine”.

Tratto da : Anna Balzarro, La storia bambina. «La piccola italiana» e la lettura di genere nel fascismo, Roma, Biblink Editori, 2007